dpcm games team riunione

DPCM games

Il nostro primo incontro di Team Building

Sabato 7 novembre, il team di UniZEB si è ritrovato su Zoom Meeting per la prima esperienza di Team Building intitolata “DPCM games…Che il colore sia sempre a vostro favore”. Uno dei nostri valori fondativi, infatti, è la creazione di un team compatto e coeso; per questo, riteniamo indispensabile unire al lavoro tecnico relativo al nostro progetto-laboratorio delle attività che possano fare di noi un gruppo unito… Solo così la “macchina di UniZEB” può continuare a migliorarsi, crescere e stimolarsi con produttività.

Che cos’è il Team Building?

Il Team Building è un’attività esperienziale o formativa atta a “fare squadra” all’interno di un gruppo. Esistono tantissime tipologie di Team Building ed ognuna di esse si differenzia in base agli obiettivi ed alle esigenze che l’organizzazione richiede: ci possono essere attività che mirano ad incrementare la conoscenza tra i membri di un gruppo, altre che sviluppano la cooperazione, alcune fanno emergere la leadership… Più in generale, il senso del Team Building è percepirsi e farsi percepire dal gruppo come persone e non solo come semplici colleghi di lavoro.

Fare Team Building ha due vantaggi: 

  1. migliora l’efficienza del gruppo, soprattutto a livello di rapporto tra i membri
  2. aumenta il benessere dei partecipanti

Dunque, è una partita che vincono sia l’organizzazione UniZEB, che membri del team, dacché entrambi traggono benefici dall’attività. 

Perché sentiamo la necessità di creare gruppo, quando “il gruppo si fa” mentre si lavora?

In condizioni “normali” di lavoro, cioè dal vivo, le dinamiche di gruppo emergono abbastanza da sé: ci si ferma per l’aperitivo dopo l’incontro, ci si prende il caffè assieme, si organizzano pranzi o cene… Ci si conosce un po’ di più a livello personale abbastanza casualmente. Quando invece ci si trova in una situazione analoga alla nostra, ovvero in un contesto in cui siamo costretti a lavorare totalmente da remoto su Zoom, le cose cambiano radicalmente: ci si potrebbe sentire soli, scollati dagli altri, “abbandonati”…

Per noi di UniZEB, il ciclo di vita del gruppo è iniziato in seno a questa situazione: ci siamo trovati tra i banchi delle aule universitarie soltanto una volta… E la creazione del gruppo, per questo, si traduce in una sfida ancora più tosta.

Il nostro Team Building: obiettivi a lungo ed a breve termine

La nostra attività di Team Building è stata pensata come il primo step di un percorso più ampio, poiché questo tipo di incontri avrà cadenza mensile e le attività potranno generare anche un confronto interno tra tutti i membri di UniZEB per vedere come e cosa possiamo migliorare (anche a livello organizzativo e di comunicazione), per negoziare tutti assieme i valori che il nostro team condivide, per fare workshop in merito alla leadership… 

In quest’ottica, abbiamo pensato a due macro-obiettivi da raggiungere nel nostro percorso, al fine di migliorare l’efficienza del gruppo: vulnerabilità e identità di gruppo/senso di appartenenza.

  • Vulnerabilità: secondo un’ampia letteratura (Polzer e Coyle), condividere la propria vulnerabilità, le proprie debolezze o fragilità all’interno di un team, crea un contatto emotivo molto forte con gli altri membri, sviluppando anche un senso di fiducia interna al gruppo. In effetti, “essere vulnerabili insieme è l’unico modo per essere invulnerabili come team”, come dice Coyle.
  • Identità di gruppo e senso di appartenenza: mirano a rendere consapevoli i membri del team in merito agli obiettivi da raggiungere e fa in modo che questi si sentano soddisfatti nel “tagliare il traguardo” tutti insieme.

Il lancio delle attività: il nostro primo incontro

Essendosi il nostro gruppo formato da remoto, abbiamo dovuto implementare inizialmente un’attività che mirasse a farsi conoscere come persone, sotto diversi punti di vista, cercando innanzitutto di creare una vicinanza emotiva più forte tra noi, camuffandola e rendendola principalmente un’esperienza ludica… Ecco perchè il nostro primo incontro si è declinato come una sessione di giochi/sfide tra i membri di UniZEB. Queste micro-attività sono state chiamate DPCM Games, un nome autoevidente, che mira ad enfatizzare l’impossibilità di trovarci dal vivo per fare Team Building a causa del DPCM (in effetti, avremmo potuto anche chiamarli COVID games, ma siamo troppo scaramantici).

La nostra prima attività prevedeva di dover inviare alle organizzatrici:

  1. Una nostra foto da bambini, accompagnata dai sogni di quando eravamo piccoli: i bambini sono tutti belli e raccontare un sogno di quando si era piccoli non ci fa sentire giudicati – come se raccontassimo le aspirazioni che abbiamo ora da adulti-, quindi permette di aprirsi, di mettersi a nudo, sentendosi più al sicuro dal giudizio.
  2. Una foto della nostra scrivania: la scrivania è una delle cose più personali che abbiamo e ci consente di capire tante peculiarità sulla persona che la utilizza, in base a com’è organizzata.
  3. Un disegno dell’animale in cui ci identifichiamo, accompagnato dall’individuazione di un nostro pregio e di un nostro difetto scritti a mano: in un mondo di Arial e Times New Roman, vedere la scrittura di qualcuno te lo fa percepire “più vicino”, più reale. Anche il disegno dell’animale mira a questo…Ognuno l’ha fatto come ha preferito e si è espresso in maniera diversa e “personale”; quindi, abbiamo potuto apprezzare una bellissima carrellata di diversità e peculiarità.
  4. Il nostro segno zodiacale ed una frase annessa, che lo caratterizzasse e che sentissimo vicina a noi, tratta dall’oroscopo: ci serviva qualcosa di assolutamente non scientifico che ci aiutasse a parlare di noi, generalizzandoci, dato che il nostro segno zodiacale è qualcosa che ci rende parte di una comunità più ampia, essendo condiviso da altri milioni di persone.
  5. Dovevamo scrivere due verità ed una bugia completando la frase “Dopo il lockdown tra le primissime cose che farei ci sarebbe…”: era un gioco che aumentava la difficoltà, prettamente ludico, ma che permette di capire chi è “pantofolaio” e chi no.

Durante il gioco ci è stata messa pressione a livello temporale e non dovevamo cooperare con gli altri (cosa, invece, necessaria nel momento in cui si lavora in gruppo), così da rendere più giocosa l’attività e da far superare quell’impasse che si crea solitamente nelle prassi di Team Building, in cui ci si sente un po’ costretti a cooperare.

L’obiettivo dei giochi era non farsi scoprire ed allo stesso tempo cercare di capire gli altri: questo ci ha dato la possibilità di comprendere, tra le risate, gli imbarazzi ed i tentativi di camuffamento, come realmente un membro del nostro team agisce in un momento di competizione.  E’ chiaro che non abbiamo effettuato nessun test interpretativo (lettura di personalità, lettura grafologica o simili), ma semplicemente, mediante questi piccoli step, siamo riusciti a conoscere meglio le persone con cui lavoriamo. Ciò, contribuisce a relazionarsi più efficacemente e piacevolmente con loro.

“I responsi dell’oracolo”

Dall’attività sono emerse tantissime cose: c’è chi è stato più prolisso e chi ha detto semplicemente due parole; chi ha scritto la frase zodiacale e chi si è limitato ad indicare il segno o si è rifiutato per “onore della scienza”; chi ha la scrivania ordinatissima e chi ha invece una marmaglia di cose; chi probabilmente ha barato e chi, invece, non ha avuto problemi a mostrarsi per quello che è. C’è stato chi si è “sbottonato” di più e chi di meno: questo è fisiologico, è bello e va rispettato. Abbiamo potuto davvero apprezzare la tantissima diversità che ci caratterizza, ma anche le comunanze e le affinità che ci legano ad altri membri di UniZEB.

Riflessioni sull’attività

Questo è stato solo l’inizio di un cambiamento importante nell’organizzazione e nel modo di lavorare in team.

“Siamo dentro al new normal ed il lavoro in questo modo funziona così: da remoto. Non è e non sarà una parentesi temporale. Purtroppo, non è neanche smart working, perché lo smart working ha una percentuale da remoto ed un’altra in presenza. Il nostro è telelavoro, che porta con sé tanti vantaggi comodissimi, ma anche lo svantaggio di far svanire la  componente umana del lavoro, che non è un semplice surplus”, sostiene Elisabetta  Genovese, una delle organizzatrici dell’incontro.

Questo modo di lavorare non favorisce affatto la comunicazione interpersonale e manca completamente l’aspetto relazionale: vi è mai capitato di utilizzare una parola che nella vostra testa aveva un’accezione e per qualcun altro ne aveva un’altra non positiva? La cosa, via web, potrebbe scatenare  un innesto di fuoco incrociato… Per non parlare di quando si deve mantenere il microfono spento (ed a volte anche il video) e chi parla non ha un feedback o un riscontro sull’effettiva ricezione o sulla corretta percezione del messaggio. Dal vivo sarebbe diverso: il nostro viso, silentemente, parla, oppure potremmo annuire o negare mediante movimenti del capo, potremmo essere aiutati dalla gestualità o ancora, potremmo dare un segnale vocale.

Per noi di UniZEB la sfida di rendere più umano un contatto virtuale si ingigantisce, dal momento che abbiamo dovuto innestare una relazione profonda con persone che non abbiamo mai vissuto in presentia prima. “Personalmente, però, non credo che questo sia un grosso problema, essendo noi dei nativi digitali: riusciamo a relazionarci con qualcuno anche se non lo incontriamo fisicamente… Dobbiamo solo trovare il modo giusto” sdrammatizza Genovese.

Ecco perchè non basta essere smart, ma come team dobbiamo riflettere sul “nuovo” modo di lavorare, sui suoi presupposti fondanti ed avere giudizio e sapienza su come possa essere sano, soddisfacente ed efficiente il lavoro di gruppo in queste condizioni… Ed UniZEB può essere la palestra per allenarsi a questo nuovo modo di essere online e connessi.

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